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Lettera di un pianista

 

di Renato Carosone

Musica, madre mia!
Quando mi mettesti al mondo, il mio primo vagito
fu un La, ti ricordi? Un LA naturale. Le altre note
me le hai insegnate dopo. E le ho imparate con
fatica con rabbia; camminando a piccoli passi su
quel sentiero irto di difficoltà, quel sentiero di
ebano e avario.
Un passo bianco e un passo nero, uno bianco e uno
nero. A tempo; con ritmo preciso, preciso.
E li ho incontrati tutti su quel sentiero, sai?
Pozzoli, Hanon, Clementi, Czerny, Chopin, Bach,
Beethoven, Liszt. Madre mia, ti degnano appena
appena di uno sguardo. Che severità. Più alla
mano gli altri.
Oggi questo sentiero è splendido, luminoso.
Ci passeggio, ci respiro, ci canto, ci suono, e lo
percorro su e giù con sicurezza, con gioia
immensa. E non guardo più nemmeno dove metto
il piede, tanto lo conosco.
Si, ora lo conosco, è mio! ma che fatica madre
mia, sorella mia, amante mia.
Tu sei la lingua più bella del mondo, la lingua che
non si parla, eppure comprensibile a tutti, proprio
tutti.
E' la lingua che parlano gli angeli in Paradiso,
perciò ti amo.
E ti prego: quando sarà giunto il momento, di a
quella signora di non cercarmi. L'appuntamento è
lì, su quel sentiero bianco e nero di ebano e
avorio. Io sarò li puntuale e sereno. E ritornerò nel
tuo grembo così come sono venuto.
Te ne accorgerai, perché sentirai la mia ultima
nota, uguale e identica alla prima che mi
insegnasti, ti ricordi? Era un La, un La naturale!